In questa guida spieghiamo come funziona il periodo di prova.
In un periodo particolarmente problematico, il termine lavoro nasconde sempre molte insidie. Onestamente non è semplice destreggiarsi tra contratti a progetto, part time, full time e a tempo determinato. Questa guida, pero, ha il compito di fare chiarezza su quella che potrebbe essere una terra di nessuno rappresentata dal periodo di prova, ossia il tempo che molte aziende si prendono per considerare la validità di un candidato rispetto alla posizione richiesta. Gli elementi presi in considerazione sono quattro, la natura giuridica, la normativa, la legittimità e l’illegittimità del recesso e, per finire, l’applicazione in casi particolari.
Iniziamo dall’aspetto giuridico. Il periodo di prova è disciplinato dall’art. 2096 del codice civile e nell’art. 4, del Regio Decreto Legge n. 1825/1924. Il codice impone che il periodo di prova sia definito attraverso la stipulazione di un atto scritto. In caso questa procedura venisse ignorata, la prova viene annullata, trasformando immediatamente il rapporto di lavoro in definitivo. In questo caso il contratto di lavoro è come sospeso fino al momento in cui verrà verificata la convenienza per entrambe le parti.
Oltre ai nuovi futuri assunti, vediamo chi può avere diritto al periodo di prova. Può accedere a questo possibilità anche chi, in passato, ha già avuto un contratto di lavoro con la stessa azienda. In questo nuovo caso, però, il lavoratore dovrà affrontare delle mansioni differenti. Secondo quanto stabilito dalla Sentenza di Cassazione n. 27330 del 2008, se le mansioni rimangono le stesse e l’esito della prova risulta negativo, il lavoratore può richiedere la nullità del contratto. Per finire, anche i lavoratori in mobilità possono avere accesso a un periodo di prova.
Vediamo quali sono le norme che regolano nello specifico l’applicazione del tempo di prova. Prima tra tutte c’ è la sentenza n. 189 del 22/12/1980 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito che, durante il periodo di prova, il prestatore deve ricevere lo stesso trattamento che dovrebbe competergli in caso di assunzione definitiva. Questo significa che dovrà svolgere gli stessi compiti degli altri lavoratori di uguale qualifica, senza nessuna differenza dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Sempre la Cassazione, inoltre, ha stabilito che i corsi di perfezionamento o di addestramento non possono essere considerati all’interno di questo tipo di contratto.
Un interrogativo a cui è interessante e necessario rispondere riguarda la durata del periodo di prova. In questo caso interviene il CCNL di riferimento, cui è affidato il compito di stabilire la durata massima considerando alcune elementi che possono differenziarsi da caso a caso, come il livello d’inquadramento e la categoria. Inoltre, secondo l’articolo 10 della Legge 604/1966, se il periodo di prova ha un tempo minimo definito e pattuito alle due parti, ossia il datore di lavoro e il candidato, è permesso di recedere il contratto alla scadenza del tempo definito.
Cerchiamo di capire meglio la legittimità del diritto di recesso. Per fugare qualsiasi sospetto basta tenere in considerazioni tre punti fondamentali, un’azienda non recede se non ha verificato effettivamente le capacità professionali del candidato, se il periodo di prova non è stato sufficiente per verificare quanto il lavoratore sia idoneo al ruolo e, per ultimo, se il giudizio finale negativo dipende dall’affidamento di mansioni superiori a quelle stabilite per contratto.
Un caso particolare, che deve essere ricordato, è quello regolato dalla sentenza della Cassazione 12/3/1999, n. 2228. In questo caso l’illegittimità del recesso da parte del datore di lavoro dipende se il licenziamento viene applicato per motivi estranei al rendimento professionale e del tutto illeciti. Di fronte a queste eventualità, al candidato è offerta la possibilità di invalidare il licenziamento, ovviamente dopo avere dimostrato la non sussistenza dei fatti.
Ovviamente ci sono dei casi particolari in cui la durata del periodo di prova deve essere applicata tenendo presente delle condizioni di alcuni lavoratori specifici. In modo particolare si fa riferimento all’apprendista e al dirigente. Nel primo caso, ossia l’apprendista, viene applicato un tempo di prova non più lungo di due mesi. Oltre questo periodo l’assunzione diventa definitivo. Per quanto riguarda la figura del dirigente il rapporto viene regolato dal CCNL di settore. A parte questi casi particolari, però, bisogna ricordare che il tempo di prova si può applicare anche a un lavoratore che abbia sottoscritto un contratto part time con l’azienda con cui farà la sua prova. Lo stesso vale per un contratto a tempo determinato e a un contratto di formazione e lavoro.
A questo punto, dopo avere analizzato gli aspetti principali del periodo di prova rimane comunque un’interrogativo, ossia quali sono i benefici che si possono trarre da questo strumento. Prima di tutto il lavoratore in prova matura gli stessi identici diritti di un lavoratore assunto. Questo vuol dire maturare ferie, il TFR e i ratei di distribuzione differita. Inoltre, nel caso in cui il periodo di prova venga valutato in modo positivo, questo farebbe cumulo per calcolare l’anzianità di servizio.
Il periodo di prova rappresenta quindi uno strumento importante sia per l’azienda che per il lavoratore.