Quando si parla di licenziamento disciplinare si intende il licenziamento di un lavoratore quale conseguenza ad un comportamento non corretto, alla violazione degli obblighi previsti dal contratto e alla mancata osservanza di quanto stabilito di comune accordo. Si tratta della maggiore sanzione che un lavoratore dipendente possa subire, e viene applicata in seguito ad un inadempimento piuttosto grave, molto spesso volontario. Ovviamente, non è un provvedimento che accade frequentemente, ed è regolato da precise norme legislative, può essere determinato solo da precise cause, inoltre il datore di lavoro deve garantire al dipendente la possibilità di difendersi e di rivolgersi alla propria associazione sindacale di riferimento.
Sostanzialmente, le cause di licenziamento disciplinare possono riassumersi in tutte quelle situazioni che violano le norme previste dalla legge, dai contratti collettivi e dal codice interno dell’azienda. Si tratta di un atto unilaterale, che consegue ad alcuni comportamenti non corretti da parte del lavoratore, la caratteristica più importante del licenziamento disciplinare è proprio la motivazione, che deve rientrare in quelle situazioni sufficientemente gravi da condurre il datore di lavoro a prendere un simile provvedimento. Il licenziamento disciplinare può essere dovuto ad una giusta causa, ovvero ad un comportamento da parte del lavoratore che rende impossibile il recupero di un rapporto di fiducia, o a quello che si definisce un giustificato motivo oggettivo. In questo caso, la condotta del lavoratore è indubbiamente meno grave del primo, ma costituisce comunque un’inadempienza nei confronti del codice disciplinare interno dell’azienda. Di solito si tratta di infrazioni ripetute nel tempo, anche se contestate, che costringono il datore di lavoro a recedere dal contratto. Quando il licenziamento avviene per giusta causa, non obbliga il datore di lavoro a dare preavviso, quando invece si tratta di giustificato motivo soggettivo, è necessario rispettare i termini di preavviso stabiliti dai contratti collettivi nazionali.
Il datore di lavoro non è tenuto ad avvisare preventivamente i dipendenti sulle possibili giuste cause di un licenziamento, il provvedimento si lega a regole piuttosto comuni negli ambienti di lavoro, tuttavia ogni situazione è diversa dall’altra, e nel caso di necessità il lavoratore è sempre tenuto a prendere accordi con i propri superiori o con il datore di lavoro stesso, per evitare di essere accusato ingiustamente. Alcune tra le cause che potrebbero motivare un licenziamento sono l’utilizzo del telefono e del computer aziendali per uso personale quando non consentito, un eccesso di regali e compensi da parte di fornitori che potrebbe lasciar sospettare la corresponsione di una tangente, un esagerato numero di permessi con giustificazioni non corrispondenti al vero, un comportamento che non permette di raggiungere gli obiettivi prestabiliti dall’azienda, la mancanza di rispetto di colleghi e superiori con allusioni dispregiative, la distruzione di materiali e strumenti di proprietà dell’azienda, la sottrazione di informazioni e il turpiloquio. Al contrario, non sempre l’assenza ingiustificata è causa di licenziamento, e non lo è la partecipazione a manifestazioni di protesta.
Il licenziamento disciplinare deve avvenire tramite comunicazione scritta, tramite una lettera di licenziamento, in maniera tale che il dipendente licenziato possa conoscere le motivazioni dell’interruzione del rapporto, ed eventualmente contestarle, è proprio dalla sua contestazione che seguirà la conferma o la revoca del provvedimento. Se il dipendente non ritiene giusto il licenziamento e decide di impugnare la lettera, può farlo entro il termine di 60 giorni, per poi presentare ricorso nei successivi 180 giorni. Può verificarsi il caso che il licenziamento sia considerato illegittimo, a causa di una mancata motivazione, anche in questo caso il lavoratore la legge offre al lavoratore alcuni strumenti di tutela, che possono avere come esito sia il reintegro al lavoro che il risarcimento.
Il sussidio di disoccupazione Naspi è previsto per chiunque abbia perso il lavoro per cause non dipendenti dalla propria volontà, e per chi abbia presentato le dimissioni per giusta causa. Anche il licenziamento disciplinare rientra tra le casistiche che permettono al lavoratore di ottenere il sussidio, nella misura e per il periodo previsti dalla legge. Nel caso in cui il lavoratore licenziato decida di iniziare un’attività indipendente, ha la possibilità di richiedere all’Inps la liquidazione della Naspi in un’unico importo, al fine di utilizzarla per avviare un’attività professionale indipendente o per inserirsi in una cooperativa. Il sussidio di disoccupazione continua ad essere corrisposto anche nel caso in cui il lavoratore percepisca un reddito, di lavoro autonomo o dipendente, rientrando entro determinate soglie stabilite dalla legge, che egli è tenuto a dichiarare all’Inps, in caso di mancata dichiarazione o di reddito superiore al limite consentito, il diritto a percepire la Naspi decade, e talvolta può accadere il lavoratore sia costretto a restituire le somme già percepite.