Una delle novità più importanti del Jobs Act è senza dubbio rappresentata dal contratto a tutele crescenti, che in realtà non consiste in una nuova forma contrattuale, ma in un’innovazione relativa ai normali contratti a tempo indeterminato, che riguarda tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, istituita al fine di offrire una tutela nei confronti dei licenziamenti non legittimi.
La riforma ha inteso eliminare le oltre 40 forme contrattuali che hanno contribuito a rendere precario il mondo del lavoro.
Il contratto a tutele crescenti riguarda tutti i contratti a tempo indeterminato sottoscritti dopo il 15 marzo 2015, così come i rapporti a tempo determinato e i contratti di apprendistato trasformatisi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Non comprende invece i contratti dei lavoratori assunti a tempo indeterminato prima del 15 marzo 2015, ai quali si applica tuttora la precedente tutela nei confronti dei licenziamenti legittimi, modificata recentemente dalla legge Fornero. Sono invece inclusi nella riforma delle tutele crescenti i lavoratori già assunti nelle aziende che, dopo il 7 marzo 2015, abbiano superato il limite dei 15 dipendenti. Questo significa che, con l’esclusione di questa situazione, la tutela per i lavoratori in fatto di licenziamenti illegittimi segue due percorsi, per alcuni lavoratori restano valide le disposizioni già stabilite nello Statuto dei Lavoratori, per altri vengono applicate le nuove regole.
Nel caso in cui il licenziamento sia discriminatorio nei confronti del lavoratore, oppure espresso semplicemente in forma orale, o ritenuto comunque nullo per altre inadempienze nei confronti della legge, il datore di lavoro è obbligato a reintegrare il dipendente il quale, se non si ripresenta al proprio posto entro 30 giorni dopo essere stato richiamato, può invece considerare il rapporto di lavoro risolto a tutti gli effetti.
Oltre al reintegro al lavoro, il datore di lavoro deve garantire al dipendente il risarcimento relativo ai danni subiti tramite un’indennità riferita al periodo che intercorre dal giorno effettivo del licenziamento fino al giorno del reintegro. Il risarcimento non deve essere inferiore a 5 mensilità pari all’ultima retribuzione valida per il calcolo dei Tfr, con relativo versamento dei contributi.
Il lavoratore che non desidera il reintegro può richiedere un risarcimento pari a 15 mensilità, non soggetto al versamento dei contributi. La richiesta deve però essere presentata entro trenta giorni dall’invito a riprendere servizio o dalla confermata illegittimità del licenziamento.
In sostanza, i casi che comportano il reintegro del posto di lavoro riguardano
-Il licenziamento discriminatorio.
-Il licenziamento per illecito.
-La notifica orale del licenziamento.
Nelle situazioni in cui un licenziamento sia considerato illegittimo in quanto gli estremi non rientrano nella giusta causa o in un motivo giustificato che lo preveda, il reintegro non è previsto. In questi casi, il rapporto di lavoro si estingue automaticamente alla data del licenziamento e il datore di lavoro è costretto a risarcire il dipendente con una somma pari a due mensilità per ogni anno di servizio, il cui importo totale deve comunque rientrare tra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. La base di riferimento è sempre l’ultima retribuzione valida per il calcolo del Tfr.
Se il motivo che ha provocato il licenziamento non è comprovato in base a quanto previsto nei casi di licenziamento per giusta causa, o la giustificazione non fosse accettabile in quanto consistente in un problema di inidoneità, il datore di lavoro potrebbe essere obbligato al reintegro del dipendente, oltre a corrispondere un risarcimento pari al periodo che intercorre tra la data del licenziamento stesso e quella del reintegro.
L’importo totale dell’indennità non deve comunque essere mai superiore a dodici mensilità, e comporta il versamento contributivo. Risulta essere facoltà del dipendente scegliere tra il reintegro e l’indennità sostitutiva, tuttavia in alcuni casi specifici non è previsto il reintegro al lavoro ma solo il versamento dell’indennità di risarcimento non assoggettata a contribuzione.
Il variare delle indennità in relazione al tempo di permanenza in azienda, si riferisce proprio alla denominazione di contratto a tutele crescenti.
Nel caso di un licenziamento contestato, il datore di lavoro ha quindici giorni di tempo dal ricevimento della comunicazione di impugnazione per revocarlo. In questo caso, il rapporto di lavoro si considera ininterrotto, e il dipendente ha diritto anche alla retribuzione del periodo precedente alla revoca.
I datori di lavoro la cui attività occupa meno di 15 dipendenti, sono obbligati esclusivamente a corrispondere un’indennità di risarcimento, da un minimo di 2 mensilità ad un massimo di 6, utilizzando sempre come base l’ultima retribuzione valida per il calcolo del Tfr. Il licenziamento giustificato intimato dai datori di lavoro di aziende inferiori ai 15 dipendenti non comportano l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione. Diversamente, in tutti i casi di licenziamento che rientrano nel contratto a tutele crescenti, è possibile evitare il ricorso al giudice scegliendo la conciliazione stragiudiziale in sede protetta.